Sindrome da Sensibilità Chimica Multipla. Malattia rara?

Sindrome da Sensibilità Chimica Multipla. Malattia rara o no?

In Italia sono sette su ventuno le Regioni che hanno adottato già un provvedimento che riconosce la sindrome come patologia rara: Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Abruzzo, Marche e Puglia. Ma da un recente convegno a Salerno è emersa la necessità di essere ancora prudenti e cauti prima di considerare la MCS una Malattia rara
 
13 MAG - Ad un anno dalla assegnazione della proposta di legge sul Riconoscimento della Sindrome da Sensibilità Chimica Multipla come Malattia Rara, alla Quinta Commissione Sanità da parte della  Presidente del Consiglio Regionale della Campania Rosa D’Amelio, ancora non si conosce alcun orientamento.
 
Nel nostro Paese sono sette su ventuno le Regioni che hanno adottato già un provvedimento in questo senso: Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Abruzzo, Marche e Puglia.
 
Dal Convegno tenutosi qualche giorno addietro all’Università degli Studi di Salerno, organizzato da Mario Capunzo, direttore del Dipartimento di Medicina, Chirurgia ed Odontoiatria, ci è parsa particolarmente equilibrata la riflessione di Cristiana Stellato, docente di Allergologia e Immunologia  a Salerno e alla Johns Hopkins University di Baltimora – USA, che ha fatto trasparire la necessità di essere ancora prudenti e cauti prima di considerare la MCS una Malattia rara.
 
Nel 1987 Cullen ha coniato la denominazione di Sensibilità Chimica Multipla (Multiple Chemical Sensitivity - MSC) o Intolleranza Idiopatica Ambientale ad Agenti Chimici (IIAAC), per indicare una Sindrome definita come un“Disordine acquisito caratterizzato da sintomi ricorrenti, a carico di più organi e apparati, che insorgono in risposta all’esposizione a sostanze chimiche, a livelli molto inferiori rispetto a quelli che causano effetti sulla salute della popolazione generale”.
 
Il Gruppo di Lavoro istituito presso l’ISS, aggiunge alla definizione la frase “…in assenza di test funzionali in grado di spiegare segni e sintomi”.
 
Molto simile è la definizione data dall’International Programme on Chemical Safety (IPCS) dell’OMS nel 1996, che aggiunge sei criteri a completamento della definizione di caso (ripresi da Nethercott e coll. 1993), ovvero:
1. I sintomi sono riproducibili con l’esposizione
2. La condizione è cronica
3. La sindrome si manifesta a seguito di esposizione a bassi livelli
4. I sintomi si attenuano con la rimozione dell’esposizione
5. I sintomi si presentano con esposizione a sostanze chimiche multiple non correlate chimicamente
6. I sintomi coinvolgono più apparati
 
La definizione di caso costituisce una difficoltà riconosciuta dall’intera Comunità Scientifica Internazionale, cosa che peraltro non consente la produzione di stime epidemiologiche affidabili finalizzate a valutare la prevalenza della sindrome.
 
Ancor più controversa risulta l’individuazione degli agenti scatenanti la sindrome, dal momento che è possibile elencare tra di essi la quasi totalità delle sostanze di sintesi contenute in una variegata serie di materiali di consumo comunemente utilizzati, che entrano in contatto quotidianamente con l’individuo o per inalazione, o per ingestione e per contatto.
 
Analoga considerazione è possibile fare riguardo ai sintomi riferiti, considerato che sono stati descritti almeno 151 diversi sintomi attribuibili a diversi organi o apparati, ovvero sintomi oculari, respiratori, gastroenterici, cardiovascolari, muscolo-scheletrici, cognitivo-affettivi.
 
Purtroppo l’assenza di un profilo di sintomi caratteristico e validato per la diagnosi di MCS, l’esistenza di una diversa suscettibilità individuale e l’enorme varietà di sostanze chimiche imputate, limitano significativamente l’identificazione di un chiaro legame con specifiche esposizioni e non consentono l’applicazione del modello diagnostico utilizzato per la diagnosi delle Reazioni Avverse a Farmaco, ovvero il Test di Provocazione.
 
La Comunità Scientifica Internazionale, pur disponendo di circa 1350 riferimenti bibliografici in merito a studi sulla sintomatologia clinica e la comorbidità nella MCS, non può contare sulla qualità metodologica dei lavori selezionati: pochi sono gli studi che raggiungono un buon grado di raccomandazione e soddisfano i criteri stabiliti nell’ambito della Medicina Basata sull’Evidenza (EBM).
 
Una recente interrogazione parlamentare (20 novembre 2017) circa l’implementazione di un monitoraggio sulle problematiche dei malati affetti da MCS, ha indotto il Sottosegretario al Ministero della Salute a citare la Seconda Sezione del Consiglio Superiore di Sanità che ha riportato l’indisponibilità di evidenze nella letteratura scientifica internazionale in grado di considerare la sindrome un’entità nosologicamente individuabile.
 
Riguardo ad un eventuale inserimento della MCS tra le malattie oggetto di particolari tutele, il Sottosegretario ne ha evidenziato l’impossibilità, per la mancanza di consolidate conoscenze epidemiologiche, cliniche e terapeutiche, che rendono difficile la condivisione di criteri diagnostici e la corretta identificazione dei destinatari dei benefici, rischiando generalizzazioni e un aumento della spesa sanitaria.
 
Tuttavia gli operatori sanitari che trattano questi pazienti possono rifarsi ad almeno due documenti di riferimento ampiamente consultati: uno è il “Documento di Consenso sulla MCS” prodotto dal Governo Spagnolo e l’altro è il Programma Operativo Specifico di Intervento prodotto da Gruppo di lavoro dell’ISS.
 
Nel Documento di Consenso gli Spagnoli propongono un algoritmo di intervento sanitario dall’anamnesi ai criteri diagnostici. Anche il documento italiano propone un percorso diagnostico similare, associando ad esso gli interventi ambientali finalizzati all’individuazione delle cause scatenanti la sintomatologia.
 
Per ciò che riguarda l’approccio terapeutico, gli Spagnoli raccomandano di evitare l’esposizione agli agenti ambientali imputati, mentre il Gruppo di Lavoro italiano dichiara che non vi è alcuna indicazione clinica a supporto dei tentativi di evitare qualsiasi tipo di esposizione ad agenti chimici (Black DW, 2000), cosa peraltro quasi impossibile nella nostra società, e aggiunge che, senza negare la realtà dei sintomi, i pazienti vanno rassicurati circa il fatto che la loro condizione non è associata a segni di malattia progressiva e non ha un’evoluzione infausta. Sono proposti anche approcci di desensibilizzazione, esposizione graduata e rieducazione all’esposizione a sostanze ubiquitarie a bassa concentrazione, considerate “spiacevoli ma non pericolose”.
 
Domenico Della Porta
Presidente Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali
Università degli Studi di Salerno
 
13 maggio 2018
 
Fonte: quotidianosanita.it

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